Con sentenza n. 2859/2015 del 24/06/2015, la Corte d’Appello di Napoli dichiarava la nullità della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Benevento in data 22/01/2009 per difetto di litisconsorzio necessario, atteso che i parapetti aggettanti dei balconi in discorso, per loro forma, materiali e colore, avevano la funzione di accrescere la gradevolezza estetica del fabbricato e, perciò, rientravano tra le parti comuni ex art. 1117 c.c. di proprietà di tutti i condòmini, con conseguente difetto del necessario contraddittorio.
Sul punto la Corte di Cassazione, a sua volta, ha ribadito il proprio orientamento consolidato secondo cui, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c. non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, tuttavia il rivestimento del parapetto e della soletta devono invece essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole.
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Di seguito, il testo integrale della sentenza (Cass. Civ., Sez. II, Sentenza n. 30071 del 14/12/2017):
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Presidente –
Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27722-2015 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALAMATTA 27, presso lo studio dell’avvocato LUIGI GRECO, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO MIGNONE;
– ricorrente –
contro
P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, V. PANAMA 74, presso lo studio dell’avvocato GIANNI EMILIO IACOBELLI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2859/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 24/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Mistri Corrado, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
C.A., proprietario di appartamento in (OMISSIS), ha proposto ricorso, articolato in unico motivo, avverso la sentenza 24 giugno 2015, n. 2859/2015, resa dalla Corte d’Appello di Napoli, la quale, in accoglimento dell’impugnazione formulata da P.V., ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado pronunciata dal Tribunale di Benevento in data 22 gennaio 2009 per difetto di litisconsorzio necessario. Il giudizio aveva avuto inizio con citazione del 20 luglio 2006 con cui C.A. aveva convenuto davanti al Tribunale di Benevento P.V., per sentire condannare quest’ultimo ad eliminare le cause della caduta d’acqua dal balcone dell’unità immobiliare di sua proprietà sul sottostante balcone di proprietà C. Il Tribunale, accogliendo la domanda di C.A., aveva condannato P.V. ad eseguire le necessarie opere indicate dal CTU per l’eliminare il denunciato inconveniente. La Corte d’Appello di Napoli accertava, tuttavia, che i parapetti aggettanti dei balconi dell’edificio di via (OMISSIS), per loro forma, materiali e colore, avessero funzione di accrescere la gradevolezza estetica del fabbricato, e perciò rientrassero tra le parti comuni ex art. 1117 c.c., di proprietà di tutti i condomini, con conseguente difetto del necessario contraddittorio e rimessione della causa al primo giudice ai sensi dell’art. 354 c.p.c., comma 1.
P.V. si difende con controricorso.
Su proposta del relatore, che aveva ritenuto il giudizio definibile nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in riferimento all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), era stata dapprima fissata l’adunanza della camera di consiglio. Il Collegio, con ordinanza del 10 marzo 2017, ritenne tuttavia che non ricorresse l’ipotesi di cui all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), e rimise la causa alla pubblica udienza.
Il ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è ammissibile, in quanto la sentenza, con cui il giudice d’appello riforma o annulla la decisione di primo grado e rimette la causa al giudice “a quo” ex artt. 353 o 354 c.p.c., è immediatamente ricorribile per cassazione, trattandosi di sentenza definitiva, che non ricade nel divieto, dettato dall’art. 360 c.p.c., comma 3, di separata impugnazione in cassazione delle sentenze non definitive su mere questioni, per tali intendendosi solo quelle su questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito che non chiudono il processo dinanzi al giudice che le ha pronunciate (Cass. Sez. U, 22/12/2015, n. 25774).
L’unico motivo del ricorso di C.A. denuncia “violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in relazione all’art. 1117 c.c. ed all’art. 1125 c.c., nonché all’art. 116 c.p.c.”. Al di là dell’impropria rubrica del motivo (che indica come norme asseritamente violate dal provvedimento impugnato quelli che sono, in realtà, due dei paradigmi stabiliti dall’art. 360 c.p.c. per definire tassativamente quali siano i vizi denunciabili in sede di legittimità, e fa poi rinvio da essi soltanto per “relazione” alle norme regolatrici della fattispecie), sostanza della censura intende contestare che il parapetto aggettante del balcone dell’appartamento del P. rientri tra le parti comuni. Il ricorrente, inoltre, evidenzia come una delle tre alternative soluzioni correttive prospettate dal CTU (peraltro quella poi in concreto adottata dal Tribunale) non comporterebbe interventi su elementi decorativi del balcone.
La censura si rivela priva di fondamento.
Per orientamento consolidato di questa Corte, mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (Cass. Sez. 2, 21/01/2000, n. 637 del; Cass. Sez. 2, 30/07/2004, n. 14576; Cass. Sez. 2, 30/04/2012, n. 6624). L’accertamento del giudice del merito che il parapetto del fronte dei balconi degli appartamenti di un edificio assolva prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio (quale, nella specie, quello operato dalla Corte d’Appello di Napoli, alla tregua delle risultanze della CTU) costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimità se non per omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Ciò premesso, l’azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto degli elementi decorativi del balcone di un edificio in condominio (nella specie, relativi ai frontali ed ai parapetti), costituenti, come tali, parti comuni ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 3, va proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari, essendo altrimenti la sentenza “inutiliter data” (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11109 del 15/05/2007).
Si consideri, infine, che la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei litisconsorti pretermessi deve essere valutata non “secundum eventum litis” (ovvero, come assume il ricorrente, sulla base delle diverse modalità attuative dell’intervento tecnico di ripristino del balcone che il giudice potrebbe disporre), ma al momento in cui l’azione sia proposta, valutando se la stessa, sulla base del “petitum” (e, cioè, del risultato perseguito in giudizio dall’attore con la sua domanda), sia potenzialmente diretta anche ad una modificazione della cosa comune.
Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2017.
Depositato in Cancelleria il 14 dicembre 2017